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FARE BENE AGLI ALTRI SIGNIFICA FARLO ANCHE A SE STESSI

09/03/2015 by Praesidium Vitae ONLUS in News
FARE BENE AGLI ALTRI SIGNIFICA FARLO ANCHE A SE STESSI

L’Istat, insieme alla Fondazione Volontariato e Partecipazione e a CSVnet, ha sperimentato lo scorso anno per la prima volta in Italia la misurazione del valore economico e sociale del volontariato.
Nella nostra repubblica dei lamenti, delle rivendicazioni sterili, dell’oblio della speranza, esistono dei ragazzi e delle ragazze che decidono di usare il loro tempo libero per gli altri. Fin qui niente di nuovo. Queste persone scoprono ogni giorno che fare bene agli altri significa farselo anche a se stessi. Esistono anche delle ricerche che li contano, li misurano, li scandagliano, li intervistano, li raccontano. Bene, molto bene.
I numeri sono belli, sintetizzano, ammaliano, affascinano, interessano la stampa. Ma nascondo, troppo spesso, la vera ragnatela di valore che esiste dietro all’impegno sociale. Per questo prima di arrivare ai numeri, partiamo da una storia.
Mylene è una ragazza che vive a Lucca, fa un sacco di cose e di una in particolare si è appassionata molto. Ha deciso di fare volontariato con la Croce Rossa e ha scelto di portare una ventata di energia agli anziani delle case di cura. La domenica mattina si sveglia prima di altri suoi coetanei e si dirige verso il centro anziani. Là dentro ci sono persone non più autosufficienti per motivi di difficoltà motoria o cardio-respiratoria, oppure per malattie neurologiche degenerative come l’Alzheimer, il Parkison e altre.
Oppure che sono semplicemente soli.

“E allora io cosa posso fare?” -si chiede Mylene. “Poco, ma quel poco cerco di attivarlo al meglio. Ricordo mia nonna paterna. Ha vissuto sempre in casa con la mia famiglia, era parte della mia famiglia. Le brillavano gli occhi quando entravo in camera sua, fosse stato per giocare alle carte o per accompagnarla fuori a fare una girata. Ma anche se non facevo niente di questo, lei mi guardava con gli occhi che brillavano”.
Nel centro anziani a qualche ospite viene dato un bambolotto. “Questa visione -racconta ancora Mylene- mi ha turbato assai la prima volta che l’ho vista. Mi ha fatto provare come un senso di degrado della dignità della persona. Come se quel bambolotto fosse una palliativo affettivo. Queste persone non vedono altro che le proprie sofferenze riflesse negli sguardi dell’altro. Sono come specchi riflettenti il disagio del prossimo. Per questo credo che la nostra presenza, la mia e quella dei miei compagni-colleghi, sia molto utile. Perché entriamo anche noi a far parte di quel gioco degli specchi e ogni tanto diamo modo di riflettere immagini diverse e di rimandare emozioni differenti, in grado di allietare queste ore che solitamente scorrono scandite da lamenti e medicine”.
In fondo anche loro sono una medicina. Arrivano carichi di buonumore, positività e sorriso, tanto sorriso sempre a disposizione. Mylene gira da mesi le case di cura e i centri anziani di Lucca. In ognuno di questi ha fatto amicizia con almeno un paio di vecchietti. Giocano a tombola. “Credimi che stare con loro, guardarli negli occhi, fargli un sorriso, dire una parola d’incoraggiamento e tifare insieme i loro numeri è di un valore inestimabile…”.
Mylene però ha intuito anche un’altra cosa. Che esiste un potente strumento per aprire porte e finestre di quel luogo, per nutrire le anime ingrigite dall’età e dai malanni: la lettura.
“In uno dei centri solitamente porto il giornale e un libro. La domenica mattina c’è anche la messa in televisione e quindi molti signori rimangono a guardare la tv nell’altra stanza. Ma chi non ha voglia sta in un’altra stanza a dormire o riposare un po’ in poltrona. Non che abbiano veramente sonno, si tratta di quell’appisolamento che vien da sé quando non si ha granché da fare”.
“Allora io entro in questa stanza e saluto tutti a voce alta così che si svegliano e mi sorridono al vedermi. Sono in pochi, 6-7 persone, ma sono ormai quasi fedeli fruitori delle letture. Voglio specificare che non tutti ascoltano veramente, alcuni non ci sentono proprio, ma stanno lì solo perché c’è una persona che racconta delle cose. Mi guardano incuriositi, spesso poi quando alzo gli occhi dal libro li ritrovo tranquillamente addormentati al suono della mia voce. Ma qualche tempo fa mi è successa una cosa buffa e bella allo stesso tempo. Era il 27 Aprile, festa di Santa Zita, ho deciso di portare come lettura il diario di Don Palmiro Bianchi, pievano di Monsagrati in provincia di Lucca. Dato che la nostra Santa Zita era natia proprio di Monsagrati Alto, ho pensato che poteva essere carino leggere quelle pagine in cui il pievano raccontava, appunto, le celebrazioni della Santa”.

Il diario del parroco “pievano” dura per la tutta la sua attività sacerdotale, da prima della seconda guerra mondiale alla fine degli anni ’70. Queste pagine testimoniavano la vita delle persone di paese dal suo punto di vista, quindi scandita dai ritmi dei vespri e delle Messe.
“Sono -racconta ancora Mylene- una fonte di ricordi e suggestioni incredibili per questi anziani signori che hanno vissuto quegli anni sulla loro pelle, che ne hanno quindi una memoria personale. Ma queste pagine sono anche la testimonianza di una semplice e tranquilla realtà paesana sconvolta dal sopravvenire della seconda guerra mondiale. Per me leggere quelle pagine è stato molto emozionante perché cita nomi di persone che conosco, spesso sono miei diretti parenti e fatti accaduti che mia nonna mi aveva già raccontato a sua volta”.
Una domenica mattina Mylene va al centro anziani di Santa Maria del Giudice, una località sulla strada che unisce Lucca a Pisa. Nella stanza ci sono 6 anziani, gli altri sono alla televisione.
Inizia a leggere. Poco dopo nella stanza entra un signore più giovane, di 73 anni, “tutto in testa lui”.
Mylene inizia a leggere il diario di Don Palmiro Bianchi. Il signore si scompone, si meraviglia perché il “pievano” era lo zio di sua mamma. Inizia un racconto misto, in cui le letture di Mylene si alternano ai racconti del signore che ha vissuto esattamente in prima persona tutta quella storia. Il mix di racconto risveglia ancora di più gli uditori. Poco dopo entra un’anziana signora accompagnata dal figlio sessantenne.
“La cosa buffa -racconta Mylene- è che saputo cosa stavo leggendo, dopo aver fatto sedere la madre, si accomodò seduto lì nella stanza anche lui, molto interessato alla lettura, e piano piano compresi che si trattava di una persona colta, molto ben preparata sulla legislazione e dei regolamenti che vigevano a quell’epoca. Ne uscì fuori così un dibattito a più voci, o meglio un sorta di “meeting-studio” sulle usanze e costumi degli anni della guerra e del dopo guerra, gli anni della gioventù dei nostri presenti signori anziani, sulla base dei ricordi e degli appunti di un vecchio pievano per di più parente di mia nonna e prozio di uno degli ospiti del Centro Anziani e quindi ne sortì un intreccio interessante di parentele e fonte di approfondimenti”.
“Era l’ora di pranzo quando me ne andai. Le persone mi abbracciarono col sorriso luminoso, chiedendomi quando sarei tornata, quanto scambio di valori quella mattina”.
Lasciamo Mylene ai suoi racconti, ringraziandola per aver condiviso con noi questa semplice e luminosa esperienza. Ora guardiamo a quei freddi dati di cui parlavamo all’inizio. L’Istat, insieme alla Fondazione Volontariato e Partecipazione e a CSVnet, ha sperimentato lo scorso anno per la prima volta in Italia la misurazione del valore economico e sociale del volontariato, il modulo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro in buona sostanza.
Oltre a quantificare quanto varrebbe il volontariato se fosse lavoro, è stato scandagliato fra un campione rappresentativo di italiani intervistati il tema delle sue motivazioni. La domanda tanto semplice quanto complicata: perché Mylene la domenica mattina si alza presto e va dai suoi vecchietti?
Se sono forti la motivazione di “credere nella causa sostenuta da un gruppo” e di “dare un contributo alla propria comunità”, smuovono l’azione di circa il 60 e il 40% dei volontari, la risultante è proprio quella sensazione di benessere che Mylene prova quando uscendo dal Centro Anziani se ne torna a casa. “Il 49,6% dei volontari -spiegano i ricercatori- che presta la propria attività nell’ambito di una organizzazione si sente gratificato per il proprio operato e quindi dichiara di “sentirsi meglio con se stesso”.
Secondo le organizzazioni che hanno sperimentato la misurazione del valore economico e sociale del volontariato, “l’attività volontaria organizzata si conferma anche come spazio in cui si sviluppa la rete di relazioni, produce un allargamento dei rapporti sociali per il 41,6% dei volontari attivi in gruppi o organizzazioni e contribuisce a migliorare le capacità relazionali per il 21,8% di essi, con un massimo del 30,1% tra gli studenti come Mylene.
Il volontariato non è la sola salvezza dell’Italia. Chi lo fa non è un’eroe o una divinità. È un fenomeno sociale soggetto, come tutti gli altri a limiti, difetti, inefficienze, strumentalizzazioni. La retorica degli eroi non ci apparterrà mai. Ma se lo guardiamo con cuore e concretezza si possono riempire di valori quei numeri che lo misurano un po’ asetticamente.
Eccoli i numeri, ma col cuore dentro. Raccontano, se saputi leggere, che nel volontariato italiano si vivono, e si narrano, ormai da anni storie ed esperienze dense di umanità e di piccole innovazioni.
Attivano meccanismi di fiducia, rendono migliori le persone. Allargano, soprattutto, la tela di relazioni sociali che in mondi soggetti a crisi di ogni tipo sono l’unica vera ricchezza che non si usura, ma si rigenera. Sono l’oro del terzo millennio.
Se guardiamo al mondo con questa lente che ci presta il volontariato, tali meccanismi raccontano molto su come una speranza per il futuro arrivi da nuovi modelli di sviluppo capaci di creare lavoro, opportunità e benessere per chi assume un diverso punto di vista di se stesso e della società. Per chi accetta la sfida di vivere connettendo la propria intelligenza, e il proprio cuore, agli altri.
Questo il volontariato può raccontare all’Italia e al mondo. Se vi sembra poco.

Fonti: http://theway.uidu.org/storiedautore/il-volontariato-e-quella-ricchezza-che-nessuno-misura/#.VP3jHfmG-P_

Article by: Praesidium Vitae ONLUS

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