«Non dobbiamo dire “uh che carini quelli del Terzo settore”, ma “il Terzo settore crea lavoro”» disse il premier Matteo Renzi, presentando la legge di riforma del Terzo Settore nella sua prima manovra finanziaria.
E il lavoro, in effetti, il mondo solidale lo mantiene più degli altri: con un aumento degli occupati del 40 per cento dal 2001 al 2011 (ultimo anno preso in considerazione dal censimento pubblicato nel 2014 dall’Istat), è stato l’unico al riparo dalla prima fase della crisi. Il censimento chiarisce dove e perché crese il terzo settore, che da solo fa il 4,7 per cento del Pil. Sono oltre 300 mila entità, 680 mila i lavoratori dipendenti e 270 mila gli esterni, ai quali si aggiungono 5 milioni di volontari. Il grosso si affolla nella voce “cultura, sport e ricreazione”, e qui dentro c’è di tutto: dal circolo della birra alla cooperativa di giovani studenti che tiene aperte le catacombe sotto il quartiere Sanità, a Napoli. Ma gli occupati e i soldi stanno soprattutto nella sanità, nell’assistenza e nell’istruzione: ci si concentrano i tre quarti dei lavoratori. La sanità è quella che ha la quota più ampia di risorse, con un fatturato di 11 miliardi. Ci sono le classiche cooperative che lavorano per gli ospedali e i Comuni, ma anche le tante che vendono direttamente sul mercato. Realtà economiche grosse, che coprono uno spazio che si amplia sempre di più, mentre lo Stato taglia le spese per il welfare.
Per tutti arriva la novità più consistente della riforma: la trasformazione in “impresa sociale”.
E i fondi? Il tesoretto da 500 milioni, promesso da Renzi con l’annuncio della riforma, ancora non c’è. Ci sono 50 milioni stanziati nella legge di stabilità: il resto arriverà, mettendo insieme banche, la solita Cassa depositi e prestiti, fondazioni bancarie, altri soggetti interessati.
Così, con pochi soldi, il governo potrebbe portare a casa una riforma ad altissimo consenso: il vasto mondo che, tra titolari, lavoratori e volontari, gira attorno al non profit, interessato soprattutto al riordino della bolgia attuale ma non indifferente alle potenzialità della trasformazione in impresa sociale; il piccolo ma influente pianeta di chi vuole entrare nel business, per fare con la solidarietà quel che il creatore di Eataly ha fatto con lo slow food: un affare.
Fonti:http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2014/12/09/news/e-l-ora-della-riforma-delle-onlus-1.191130